Tutti noi, ogni giorno, ci preoccupiamo di separare i rifiuti negli appositi contenitori, seguendo le linee guida della raccolta differenziata vigente nel nostro comune di residenza. Tra questi rifiuti differenziati c’è ovviamente anche la plastica, della quale facciamo un abbondante utilizzo per gli imballaggi, il contenimento degli alimenti e così via.
Tuttavia non sempre quello che facciamo è corretto da un punto di vista tecnico, si corre il rischio di far confluire nel bidone della plastica prodotti sì realizzati con questo materiale, ma che non sono riciclabili (che andrebbero, pertanto, gestiti come rifiuti indifferenziati o, in alcuni casi, come rifiuti ingombranti e speciali).
Ma quale plastica è riciclabile e come possiamo riconoscerla?
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Esistono diversi procedimenti per il riciclo della plastica, che permettono di ottenere nuovi prodotti, ma anche energia, calore ed elettricità.
Attraverso il riciclo meccanico, per esempio, la plastica smaltita viene triturata e trasformata in nuovi prodotti. La termovalorizzazione, invece, permette di ottenere un recupero energetico attraverso specifici trattamenti di selezione e triturazione, ricavando dalla plastica dei combustibili alternativi, utilizzati poi per la produzione di energia termoelettrica o in altri processi industriali. Un processo ancora in via di sviluppo è invece il riciclo chimico, che prevede il ritorno alla materia prima di base, attraverso la trasformazione delle plastiche in monomeri della stessa qualità di quelli vergini.
In un ciclo virtuoso, il 75% dei rifiuti di plastica da imballaggi viene riciclato e trasformato dapprima in materia prima-seconda ed in seguito in un nuovo manufatto. Il rimanente 25% risulta costituito dagli scarti eterogenei degli imballaggi, che non sono più riciclabili. Vengono dunque trasformati in CSS. Si tratta di combustibile solido secondario, che viene impiegato nei cementifici in sostituzione del carbone.
Il processo di riciclo della plastica è suddiviso in 4 fasi:
1) I rifiuti, dopo essere stati raccolti a livello comunale, vengono trasportati dapprima verso i centri di raccolta regionali e in seguito agli stablimenti per il riciclo. Viene valutata la qualità del materiale da consegnare per la trasformazione.
2) Gli imballaggi - ad esempio bottiglie di plastica, shopper e flaconi del detersivo - vengono inseriti in un impianto di suddivisione e selezionamento. I rifiuti vengono preparati per il successivo processo di riciclo, previa suddivisione per tipo di polimero e per colore.
3) Le bottiglie di plastica vengono lavate in acqua calda per eliminare etichette e eventuali residui di sporcizia. I flaconi di detersivo vengono sottoposti a processi meccanici di eliminazione dei materiali indesiderati. Il materiale consegnato, selezionato e preparato viene inviato al riciclo.
4) Grazie al riciclo si ottiene il materiale finale, o materia prima-seconda. Si tratta di scaglie, granuli e geo-membrana bugnata.
A seconda del materiale di partenza, il processo di riciclo può richiedere lavorazioni che comprendono lavaggio, centrifugazione e triturazione. Il lavaggio viene eseguito per rimuovere tracce di sporco, residui alimentari e eventuali sostanze tossiche, in modo da ottenere una materia prima-seconda e dei manufatti completamente sicuri e privi di residui indesiderati e di pesticidi. I manufatti rientrano sul mercato sotto forma di oggetti completamente nuovi o di imballaggi simili ai prodotti di partenza, con particolare riferimento agli shopper, alle bottiglie di plastica e ai flaconi per i detersivi.
Il ciclo si chiude e risulta virtuoso se ha permesso il massimo recupero dei rifiuti ricevuti all'origine.
Il problema, come è facilmente immaginabile, è che un conferimento errato a monte della plastica rende più lento e complesso il processo di separazione e conseguente riciclo.
Per questa ragione, sarebbe preferibile conoscere le varie tipologie di plastica e il loro smaltimento corretto.
Questi sono dei codici internazionali, istituiti dalla Decisione della Commissione Europea del 1997, che permettono di riconoscere velocemente e in modo chiaro il tipo di materiale di cui è costituito l’oggetto riciclabile (tendenzialmente imballaggi).
I diversi polimeri plastici riciclabili sono segnalati numericamente da 1 a 6, mentre quelli non riciclabili fanno parte della categoria 7 in poi, essendo dei poliaccoppiati dei polimeri (ovvero materiali impermeabili costituiti da più strati, come polietilene, carta e alluminio. Un esempio classico è il Tetra pak che può avere addirittura più di quattro strati).
Il polietilene treftalato o PET è una delle più usate sul pianeta, tanto da costituire il 96% di tutte le bottiglie e i contenitori di plastica.
È una materia sintetica della famiglia dei poliesteri realizzata con petrolio, gas naturale o materie prime vegetali. Nonostante le sue origini principalmente “fossili”, è completamente riciclabile e non perde le sue proprietà fondamentali durante il processo di recupero, come: buona solidità, rigidità, resistenza all’usura e all’abrasione.
Gli imballaggi di PET rispettano inoltre le ristrettive condizioni igieniche imposte in ambito alimentare, cosmetico e farmacologico. Inoltre è spesso utilizzato nella produzione delle bottiglie per bevande, perché sono infrangibili, leggeri e richiudibili.
E’ una plastica facilmente riciclabile, ma è più densa dell’acqua di mare. Per questo motivo affonda ed è di difficile recupero e smaltimento.
Il Polietilene ad alta densità (HDPE) è un polimero termoplastico che si ottiene dalla polimerizzazione dell’etilene ed è uno dei polimeri più lavorati e utilizzati.
Impiegato inizialmente per realizzare tubi per fognature, scarichi e canali sotterranei, oggi viene impiegato in una vasta gamma di prodotti, come contenitori per succhi, sacchetti per la spesa o la spazzatura, flaconi di shampoo e giocattoli. L’HDPE è la plastica più comunemente riciclata perché non si rompe se esposta a caldo o freddo estremi.
Il Polivinilcloruro o Cloruro di Polivinile (PVC) è una delle materie plastiche di maggior consumo. Le proprietà di questo materiale termoplastico sono fortemente variabili a seconda degli additivi utilizzati.
Può essere più rigido e tenace (RPVC, dove R sta per rigido) utilizzato ad esempio nelle condutture dell’acqua, o più flessibile quando utilizzato in applicazioni di tessuto.
Se bruciato rilascia diossine, un gruppo fra le sostanze chimiche più pericolose che può causare malattie gravi al corpo umano, in particolar modo il sistema endocrino. Inoltre, contiene come antiossidante plastificante il discusso bisfenolo A (BPA).
Il polietilene a bassa densità viene utilizzato nella produzione di pellicole per alimenti, bottiglie comprimibili, sacchetti per la spesa e coperchi.
A differenza dell’HDPE, in questa plastica le catene di carbonio sono molto distanti l’una dall’altra e consentono una plastica flessibile.
Il polipropilene viene utilizzato per la produzione di oggetti per l’arredamento, contenitori per alimenti, flaconi per detersivi e prodotti per l’igiene personale, moquettes, mobili da giardino, etc.
Può essere riciclato solo un certo numero di volte (tipicamente 3) e dopo diventa inutilizzabile.
Meglio noto come polistirolo, il polistirene è un materiale plastico leggero, facile da modellare ma anche molto dispersivo, cosa che lo rende altamente dannoso per l’ambiente e l’ecosistema.
Il suo componente principale, lo stirene, può migrare dalle plastiche agli alimenti e non lo si dovrebbe sottoporre a fonti di calore perchè può rilasciare sostanze cancerogene.
Viene utilizzato per le tazzine da cafè usa e getta, scatole per alimenti in plastica, schiuma da imballaggio e molto altro ed è riciclabile.
Hanno il codice “7” tutte le plastiche che non possono essere riciclate e che sono destinate ai contenitori raccolta differenziata del rifiuto secco o non riciclabile.
Rientrano in questa categoria tutti quei polimeri per i quali non è stato previsto un codice specifico, o le loro combinazioni, come ad esempio una vaschetta costituita da uno strato esterno di PET ed uno interno di Polietilene a bassa densità (PE-LD).
E’ la classe considerata più pericolosa per i possibili danni alla salute dell’uomo e all’ambiente.
Una delle plastiche più diffuse appartenenti a questa categoria è il Policarbonato, un polimero a base di Bisfenolo A, il BPA, o del suo recente sostituto, il BPS, che risulta essere più nocivo dell’originale. Il BPA simula l’azione degli ormoni femminili ed è pertanto pericoloso perchè porta alla distruzione dell’equilibrio ormonale degli individui. Uno studio americano del 2005 ha rivelato la presenza di BPA nel 95% delle persone analizzate.
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